L’unico pacco da giù che abbia mai ricevuto è arrivato a Praga nel febbraio 2021. Il contenuto, a posteriori, non è importante.
Appena lo ricevetti, chiamai mio padre canzonandolo per come aveva stampato l’etichetta: “Ooh e che non la sapevi stampare più grande”?
Il codice della spedizione copriva infatti l’intera lunghezza di un foglio A4: il corriere poteva scansionarlo da un metro.
Un mese dopo, preparandomi per l’ennesimo trasloco, quell’etichetta mi è ritornata fra le mani e mio padre, nel frattempo, era morto.
La rabbia, la frustrazione e la tristezza accumulatesi sono finalmente esplose in un pianto di 5 minuti.
Il particolare periodo storico mi ha impedito di accomiatarmi dal corpo e il funerale mi è stato raccontato sommariamente da mia madre. L’importanza della cerimonia è probabilmente stata esasperata dal mio capriccio di volerci essere. Esserci per fare cosa, poi?
Quell’etichetta mi torna spesso in mente e non riesco a capacitarmi di come possa aver guadagnato posizioni rispetto a ricordi indubitabilmente più importanti.
Vince sull’immagine di me traballante su una bici senza rotelle o mentre rido pateticamente in segno di sfida dopo aver preso schiaffi.
Vince su agognate scuse da entrambe le parti.
Bastava togliere la spunta da “adatta alla pagina”. Non l’ha fatto. Ha visto il foglio e se n’è letteralmente sbattuto le palle eppure era un perfettino la cui pedanteria ha nutrito e formato per anni il mio indecente pressappochismo.
L’attaccamento verso quell’inutile etichetta è il puro e stupido tentativo di romanticizzare la conoscenza parziale di una persona che, arrogantemente, avrei dovuto conoscere molto meglio.
Mi è stato possibile, non lo sarà più.
Comunque l’ho pure persa.