Sanremo e donne e gatti

Mai avuto un grandissimo debole per il festival. La ricerca di un valido motivo per sorbirmi una pila di canzoni perlopiù orribili e siparietti ridicoli, puntualmente si vede risolta dalla più patetica fra le ragioni: fuggire dalla solitudine nell’unica settimana dell’anno in cui anche i peggiori stronzi pare abbiano compagnia.

Diciamola tutta: è proprio questa la ragione per cui non mi va granché a genio. Enormi cambiamenti nella mia cerchia amicale erano avvenuti dal festival passato. Era il momento di tirare le somme e pativo l’ansia del non stare al passo delle mie aspettative.

Ed ecco quindi nella mia testa un individuo in camice bianco. Sta sfilando dalla più classica delle buste ocra in carta riciclata la lastra coi risultati del mio benchmark sociale e leggendola in controluce, mi ricapitola flemmatico tutti gli inviti, la qualità degli stessi e le possibilità a disposizione.

Non malaccio ma si poteva fare di più.

Questo per mettere in chiaro le ragioni per cui, quella sera, non solo accettai l’invito del mio amico Luca ma addirittura lo estesi a Teresa, una splendida donna di un paese vicino.
C’eravamo frequentati qualche mese prima, io e lei, ma le cose non erano andate per il verso giusto.

Teresa accetta l’invito e, la sera dell’evento, è fra i primi ad arrivare. E’ già lì quando entro e, dopo aver piluccato stuzzicame vario, le siedo vicino per scambiare qualche chiacchiera. Non passa molto prima che mi si appoggi sulla spalla chiarendo quanto fosse stanca: non sa se è in grado di tornare a casa.
Se vuoi ti ospito da me, le dico. Lei annuisce sorridendo e sorseggia aristocraticamente del bianco di pessima qualità (non che voglia fare il colto: costava due lire).

La serata va avanti senza grossi colpi di scena ma con una costante: ogni qualvolta che i miei occhi si posano su di lei, i nostri sguardi si incrociano. La svolta vera e propria arriva quando Amadeus ragguaglia i telespettatori in merito ad una vicenda di cronaca nera. Esordisce con la formula “Questo omicidio è avvenuto a Napoli ma poteva accadere ovunque” ed io irrompo con sagacia: “PERCHE’ I NAPOLETANI SONO OVUNQUE!”.
Tutti ridono ma sono le risate di Teresa le più sguaiate, nonostante non si contino le volte in cui mi abbia manifestato il suo amore per Napoli e i suoi pittoreschi quartieri spagnoli.

Decido di prendere una boccata d’aria e vengo seguito fuori. Mi abbraccia e mi guarda con degli occhi enormi. Mi racconto la balla di averci messo più tempo del dovuto per cederle ma ci credo pochissimo. E’ molto bella lei.

Luca le passa da fumare, lei fa qualche tiro e torniamo dentro. Il mio posto sul divano è stato occupato e rimango in piedi mentre lei siede accanto alla compagna di Luca, Martina. Prima sbadiglia, poi schiarisce bene la voce per esprimere con ritrovata fermezza la volontà di porre fine alla serata:

“YAAAAAWN SONO STANCHISSIMA!”

Martina le offre la possibilità di rimanere da lei ma riceve un incomprensibile mormorio in risposta.

Dormirà da me, ma prima ci si divertirà, più che nei mesi passati.
“Sei una mangiauomini!” le dico al termine della corsa. Lei ridacchia ed io tiro ad indovinare: da domani tornerà all’attacco con l’intenzione di riallacciare i rapporti ma, mi dico, non avrà successo. Mesi prima in lei avevo scorto i germogli del seme della follia e, il periodo della raccolta, non sarò io il poveraccio che ne sgrappolerà i frutti.

Del sesso (finalmente) non protetto non basterà a farmi tornare sui miei passi.

Non. Protetto. Cazzo.


Il primo ricordo che conservo della mattina successiva è il suo sguardo ammiccante mentre mi domanda: “L’abbiamo fatto senza, vero?”.
“Sì, Teresa, ma non sarà questa la ragione per cui torneremo assieme: il tuo patetico piano non porterà a nulla”, vorrei dirle. Invece, piuttosto che sbilanciarmi, arranco in seria difficoltà: “Ehm, sì, ma ho fatto attenzione!” e la rassereno chiarendo che quello fosse il mio primo rapporto non protetto dopo una relazione monogama durata anni. “Mi andrò comunque a controllare!”.

Coglie la palla al balzo elencandomi almeno 15 malattie che vorrebbe venissero controllate: questo la farebbe stare un minimo tranquilla. Prima che termini di annuire ne ho già rimossa la metà.

Con tutte (TUTTE) le buone intenzioni del caso, scandaglio i siti dei laboratori di analisi (non necessariamente nelle immediate vicinanze) alla ricerca di quello col check-up più completo. Realizzo che, più di quattro malattie, non le testa nessuno e da qui la consapevolezza che Teresa non starà mai tranquilla. Caso chiuso.

I suoi prevedibili tentativi di riavvicinamento però continuano, rivelandosi fallimentari, e provo a farle capire che non tira aria sfruttando metodi abbastanza inequivocabili:

  • Alle assillanti foto dei suoi 4 gatti rispondo usando toni dolcissimi ma facendo bene attenzione a non applicare la reaction del cuore a tutti gli scatti, solo ad alcuni.
  • Alla sua proposta di dividere spese in comune (o di restituirmi delle cifre che le ho anticipato) sostituisco il morbido “non preoccuparti” con il ruvido “sì sì poi me li dai”.
  • Le dico che la trilogia del colore di Kieslovski, pur essendomi piaciuta da morire, non mi ha cambiato la vita.

Tutto ciò incomprensibilmente non basta e allora metto un punto alla situazione: “Forse è meglio se iniziassimo a sentirci e vederci di meno.”
“Ma come?!” “Teresa, hai rotto il cazzo cerca di capire”.

L’ultimo contatto che abbiamo è un veloce scambio su whatsapp in cui lei mi consiglia la lettura di una graphic novel. Io le rispondo che, la stessa graphic novel, gliel’avevo già consigliata io mesi prima.

La chat si arresta e permane in quello stato per mesi.


“Ciao Teresa, mi è stato riferito che per ragioni di salute sei costretta in una condizione di isolamento da settimane. Qualche giorno fa, parlando con Luca, è venuto fuori il tuo nome e mi ha spiegato un po’ la vicenda senza scendere troppo in dettagli. Ha aggiunto che ti avrebbe fatto piacere se ti avessi scritto ed eccomi, spero non sbagliasse. Come stai?”

”Ciao Fabio, mi fa enorme piacere ricevere un tuo messaggio. L’ultimo periodo è stato molto duro… per diverse altre settimane sarò costretta a casa dei miei mentre loro si sono trasferiti da me: qualcuno doveva badare a Lalà, Lolì, Popò e al geometra Pansini. Sono tristissima senza i miei mici.”

Invia una foto per gatto. Lalà, Lolì e Popò ricevono ognuno l’emoji di un cuore di colore diverso 🧡💚🤎. Il geometra Pansini guadagna invece solo un pollice all’insù perché continua a starmi profondamente sul cazzo.

”Forse non l’hai notato perché stai morendo ma il cuore che ho scelto per Popò è marrone!”.

”Non voglio morire” e sparisce.

Proprio ora che volevo riallacciare.