1880

Ogni giorno, per almeno tredici minuti, è fondamentale per me interrompere qualsiasi attività e piombare in un (riportando la definizione di gente a me cara) preoccupante stato dissociativo.

In questo stato di nera alienazione, fortissimamente rifletto sui disgraziati ideali di bellezza di cui siamo schiavi per colpa di quella diabolica invenzione che è il telegrafo…


Sarebbe bello avere la mia libido davanti; farle una ramanzina che non ve la sto a dire e ridurla infine in lacrime con la coscienza sfregiata dal senso di colpa e la laringe livida dal singhiozzare.

Dopo, entrare nello splendido e ampio soggiorno dalle decorazioni vittoriane dove la mia compagna Szabina, Miss Impero austro-ungarico, esegue uno squat geometricamente perfetto, completamente nuda.
Il suo azzardo è che io stia per sceneggiare il solito, collaudato, siparietto: fingere di camminare “così per caso” e poi saltarle addosso al fine di aprirle le natiche.

E invece no: siedo sul comodo divanetto vittoriano (tutto è vittoriano in questo sciagurato periodo storico!) e sfoglio con scarso interesse una raccolta di poesie sulla morte.

Di sera, a letto, tutto si risolve con un nulla di fatto:

“Finalmente, amore mio, sono guarito…
Fammi verificare solo una cosa…”

Mi alzo in piedi facendo leva sulle braccia e accompagno delicatamente le ante del nostro prezioso armadio (vittoriano). Recupero uno splendido cuscino raffigurante l’abominevole Regina Vittoria e chiedo gentilmente a Szabina di poggiarselo sul viso.

“Riproviamo ora.”