C’è questa storia bruttissima che mi è capitata.
Un vecchio di merda mi ha tamponato.
La cosa divertente. Anzi no. Divertente il cazzo.
Non c’è nulla di divertente.
E’ che sostiene che a tamponarlo sia stato io.
E lo fa col viso grondante sangue.
E già questo mi fa imbestialire.
Perché non è che se la mia macchina sta dietro
col paraurti frontale devastato e la sua sta avanti,
col cofano rientrato di due metri nell’abitacolo
e uno spigolo conficcato nel cranio della moglie morta
allora AUTOMATICAMENTE la colpa è la mia.
Sto impazzendo giuro perché la gente,
pur di non assumersi le sue cazzo di responsabilità
trova delle scuse allucinanti.
E alla fine sei sempre tu quello che ci va a perdere.
Non mi sembra di chiedere molto.
Un semplice banalissimo atto di maturità.
Da un vecchio di merda.
Ripeto: non mi sembra di chiedere molto.
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Vecchi di merda morite male
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Sanremo e donne e gatti
Mai avuto un grandissimo debole per il festival. La ricerca di un valido motivo per sorbirmi una pila di canzoni perlopiù orribili e siparietti ridicoli, puntualmente si vede risolta dalla più patetica fra le ragioni: fuggire dalla solitudine nell’unica settimana dell’anno in cui anche i peggiori stronzi pare abbiano compagnia.
Diciamola tutta: è proprio questa la ragione per cui non mi va granché a genio. Enormi cambiamenti nella mia cerchia amicale erano avvenuti dal festival passato. Era il momento di tirare le somme e pativo l’ansia del non stare al passo delle mie aspettative.
Ed ecco quindi nella mia testa un individuo in camice bianco. Sta sfilando dalla più classica delle buste ocra in carta riciclata la lastra coi risultati del mio benchmark sociale e leggendola in controluce, mi ricapitola flemmatico tutti gli inviti, la qualità degli stessi e le possibilità a disposizione.
Non malaccio ma si poteva fare di più.
Questo per mettere in chiaro le ragioni per cui, quella sera, non solo accettai l’invito del mio amico Luca ma addirittura lo estesi a Teresa, una splendida donna di un paese vicino.
C’eravamo frequentati qualche mese prima, io e lei, ma le cose non erano andate per il verso giusto.Teresa accetta l’invito e, la sera dell’evento, è fra i primi ad arrivare. E’ già lì quando entro e, dopo aver piluccato stuzzicame vario, le siedo vicino per scambiare qualche chiacchiera. Non passa molto prima che mi si appoggi sulla spalla chiarendo quanto fosse stanca: non sa se è in grado di tornare a casa.
Se vuoi ti ospito da me, le dico. Lei annuisce sorridendo e sorseggia aristocraticamente del bianco di pessima qualità (non che voglia fare il colto: costava due lire).La serata va avanti senza grossi colpi di scena ma con una costante: ogni qualvolta che i miei occhi si posano su di lei, i nostri sguardi si incrociano. La svolta vera e propria arriva quando Amadeus ragguaglia i telespettatori in merito ad una vicenda di cronaca nera. Esordisce con la formula “Questo omicidio è avvenuto a Napoli ma poteva accadere ovunque” ed io irrompo con sagacia: “PERCHE’ I NAPOLETANI SONO OVUNQUE!”.
Tutti ridono ma sono le risate di Teresa le più sguaiate, nonostante non si contino le volte in cui mi abbia manifestato il suo amore per Napoli e i suoi pittoreschi quartieri spagnoli.Decido di prendere una boccata d’aria e vengo seguito fuori. Mi abbraccia e mi guarda con degli occhi enormi. Mi racconto la balla di averci messo più tempo del dovuto per cederle ma ci credo pochissimo. E’ molto bella lei.
Luca le passa da fumare, lei fa qualche tiro e torniamo dentro. Il mio posto sul divano è stato occupato e rimango in piedi mentre lei siede accanto alla compagna di Luca, Martina. Prima sbadiglia, poi schiarisce bene la voce per esprimere con ritrovata fermezza la volontà di porre fine alla serata:
“YAAAAAWN SONO STANCHISSIMA!”
Martina le offre la possibilità di rimanere da lei ma riceve un incomprensibile mormorio in risposta.
Dormirà da me, ma prima ci si divertirà, più che nei mesi passati.
“Sei una mangiauomini!” le dico al termine della corsa. Lei ridacchia ed io tiro ad indovinare: da domani tornerà all’attacco con l’intenzione di riallacciare i rapporti ma, mi dico, non avrà successo. Mesi prima in lei avevo scorto i germogli del seme della follia e, il periodo della raccolta, non sarò io il poveraccio che ne sgrappolerà i frutti.
Del sesso (finalmente) non protetto non basterà a farmi tornare sui miei passi.Non. Protetto. Cazzo.
Il primo ricordo che conservo della mattina successiva è il suo sguardo ammiccante mentre mi domanda: “L’abbiamo fatto senza, vero?”.
“Sì, Teresa, ma non sarà questa la ragione per cui torneremo assieme: il tuo patetico piano non porterà a nulla”, vorrei dirle. Invece, piuttosto che sbilanciarmi, arranco in seria difficoltà: “Ehm, sì, ma ho fatto attenzione!” e la rassereno chiarendo che quello fosse il mio primo rapporto non protetto dopo una relazione monogama durata anni. “Mi andrò comunque a controllare!”.Coglie la palla al balzo elencandomi almeno 15 malattie che vorrebbe venissero controllate: questo la farebbe stare un minimo tranquilla. Prima che termini di annuire ne ho già rimossa la metà.
Con tutte (TUTTE) le buone intenzioni del caso, scandaglio i siti dei laboratori di analisi (non necessariamente nelle immediate vicinanze) alla ricerca di quello col check-up più completo. Realizzo che, più di quattro malattie, non le testa nessuno e da qui la consapevolezza che Teresa non starà mai tranquilla. Caso chiuso.
I suoi prevedibili tentativi di riavvicinamento però continuano, rivelandosi fallimentari, e provo a farle capire che non tira aria sfruttando metodi abbastanza inequivocabili:
- Alle assillanti foto dei suoi 4 gatti rispondo usando toni dolcissimi ma facendo bene attenzione a non applicare la reaction del cuore a tutti gli scatti, solo ad alcuni.
- Alla sua proposta di dividere spese in comune (o di restituirmi delle cifre che le ho anticipato) sostituisco il morbido “non preoccuparti” con il ruvido “sì sì poi me li dai”.
- Le dico che la trilogia del colore di Kieslovski, pur essendomi piaciuta da morire, non mi ha cambiato la vita.
Tutto ciò incomprensibilmente non basta e allora metto un punto alla situazione: “Forse è meglio se iniziassimo a sentirci e vederci di meno.”
“Ma come?!” “Teresa,hai rotto il cazzocerca di capire”.L’ultimo contatto che abbiamo è un veloce scambio su whatsapp in cui lei mi consiglia la lettura di una graphic novel. Io le rispondo che, la stessa graphic novel, gliel’avevo già consigliata io mesi prima.
La chat si arresta e permane in quello stato per mesi.
“Ciao Teresa, mi è stato riferito che per ragioni di salute sei costretta in una condizione di isolamento da settimane. Qualche giorno fa, parlando con Luca, è venuto fuori il tuo nome e mi ha spiegato un po’ la vicenda senza scendere troppo in dettagli. Ha aggiunto che ti avrebbe fatto piacere se ti avessi scritto ed eccomi, spero non sbagliasse. Come stai?”
”Ciao Fabio, mi fa enorme piacere ricevere un tuo messaggio. L’ultimo periodo è stato molto duro… per diverse altre settimane sarò costretta a casa dei miei mentre loro si sono trasferiti da me: qualcuno doveva badare a Lalà, Lolì, Popò e al geometra Pansini. Sono tristissima senza i miei mici.”
Invia una foto per gatto. Lalà, Lolì e Popò ricevono ognuno l’emoji di un cuore di colore diverso 🧡💚🤎. Il geometra Pansini guadagna invece solo un pollice all’insù perché continua a starmi profondamente sul cazzo.”Forse non l’hai notato perché stai morendo ma il cuore che ho scelto per Popò è marrone!”.
”Non voglio morire” e sparisce.
Proprio ora che volevo riallacciare.
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Un grillo e sua figlia dall’osteopata
Cra cracra cra cra
crrà cracra craa
Craaaccraccrà
Cracrrcra Rebecca
Craccraccracrà
Cracra craccracccrra
Piacere, Rebecca!
Lo aggiusto io il papà tuo
Si sistemi prono sul lettino
si rilassi ora
Crracrraccraccrà
Crcrccccrà CRA CRA
Cra cra cracra
Cracracracccracrà
Cra cra
Metta la testa qui
Cra cràccrrà craà
Oh merda
CR CR CR CRRAAA’
REBECCA STAI ZITTA!
CRAAAACCRAAAAAAAAA
REBECCA DIOCANE L’HAI VISTO ANCHE TU
NON E’ COLPA MIA
CRACCRACCRAAA CRACRAAA CRA
REBECCA IO IN GALERA NON CI VADO
AMMAZZO ANCHE TE
AMMAZZO ANCHE TE REBECCAA
CCCCRACCRAAAAAAAAAAAA
FAI SILENZIOOO
FAI SILENZIOO HO DETTOOOOO
CRAAAAAAAA
CRAAAAAAAAAAA
AAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAA
CCCCRRRRrrrrr…
Cosa ho fatto dio mio
cosa ho fatto…
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Kinds of Kindness
Yorgos Lanthimos – 2024
Con un bisturi intinto nell’inchiostro ho scritto la sceneggiatura di questo (posso dirlo?) filmone e dopo, per celebrare la mia conclamata abilità nello scandagliare a fondo in quelle che sono le oscure profondità dell’animo umano, mi sono LETTERALMENTE ammazzato di seghe.
Perdonate l’autoreferenzialità.
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Egoismo sano
A legare me e Serena, oltre ad una pluridecennale amicizia, c’è un’apparentemente antiscientifica bizzarria.
Ogni qualvolta che in palestra, cimentandomi negli Hip Thrust, raggiungo la settima ripetizione della terza serie, Serena – indipendentemente dal luogo in cui si trova e dall’attività che sta svolgendo – rivolge le pupille al cervelletto e casca a terra schiumando in preda alle convulsioni di un grave attacco epilettico.Ci sono voluti decenni per individuare empiricamente un nesso causa/conseguenza ma, col senno di poi, era effettivamente strano che gli episodi mi venissero puntualmente notificati durante il defaticamento.
All’inizio ho erroneamente attribuito la responsabilità all’allenamento in toto dopo aver constatato che, mancando dalla palestra, gli attacchi non si verificavano.
Ho quindi sfruttato un periodo in vacanza per prendermi una pausa dall’attività fisica ma, credetemi, evitare la sala attrezzi del resort ha rappresentato per me un vero proprio calvario: questo per darvi un’idea di quanto voglia bene a quella disgraziata (me ne volesse un decimo, lei!)Al ritorno però, sin dal primo giorno, – lo dico senza alcuna vergogna – ho ripreso gli allenamenti e, via via, attacco epilettico dopo attacco epilettico, sono riuscita a inquadrare la causa scatenante.
Bene, avrei provato del senso di colpa se fossi rimasta la Roberta di due anni fa ma quella persona, passiva e frustrata, aprite bene le orecchie: non esiste più.
La nuova Roberta è una donna fatta e finita che ha abbracciato la filosofia dell’egoismo sano per tirarsi fuori da tutta una serie di situazioni tossiche e rotture di coglioni che ne avrebbero compromesso la realizzazione e l’autostima.
Sapete, il problema di noi persone empatiche è che diamo spessissimo (sempre?) priorità al prossimo con l’ovvia conseguenza che poi i bastardi se ne approfittano. E’ da questi stronzi che devo proteggermi e ascoltatemi bene: ora che ci penso, a pensar male si fa peccato ma ci si azzecca sempre.
E fate attenzione:
Serena sa benissimo che ci tengo alla palestra.
Serena sa anche benissimo che gli Hip Thrust sono il mio esercizio preferito.
Ed è perfettamente a conoscenza che non completarne la terza serie ne nullifica interamente qualsiasi benificio.E quindi sai che c’è di nuovo, stronza?
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Cuore a cuore con Mark Chapman
Cento
Bene
ditemelo voi
cosa fareste
se doveste decidere
fra la vita di
cento
spensierati
succulenti
tacchini sovrappeso
o quella di John Lennon.Grazie a tutti.
Confido in uno sconto di pena e nel perdono della vedova, la signora Linda McCartney se non sbaglio.
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Non farlo per me
Amore mio bellissimo,
è con una premessa che ho deciso di iniziare questa breve e concisa lettera: la laurea cum laude in ingegneria aerospaziale (che ho conseguito senza il minimo sforzo) e quell’infinità di costosissimi master specialistici non sono che carta straccia in questo momento in cui, ben volentieri, li baratterei col più scadente fra i percorsi umanistici.
Dimmi solo dove mettere la firma!Il motivo potrebbe non interessarti ma lascia che te lo riveli ugualmente: mi aiuterebbe nella disperata ricerca delle parole giuste per farti tornare e, se ti chiedo di riconsiderare la tua scelta, credimi che a spingermi non è bieco egoismo.
Ti prego di non farlo per me ma per Lucky.Soffre terribilmente la tua assenza e pare evidente che si stia lasciando morire. La ciottola dell’acqua continua ad essere piena da giorni e neanche i croccantini Puppy Bio – ne andava pazzo, ricordi? – sono riusciti a interrompere il suo digiuno.
A scuola, poi, gli amichetti continuano a bullizzarlo per il nome da cane.Torna, ti prego.
Ti amo,
FabioPS: Jennifer invece sta bene, è un carlino forte.
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Addio, Sonia.
Per la missione che ho minuziosamente messo a punto, mi è ben chiara la necessaria potenza di fuoco e sono tre i super Robot che ho orgogliosamente costruito:
- Asterius
Dalle forti ispirazioni nagaiane (Mazinga Z su tutti). Pur avendo gli strumenti per vincere qualsiasi scontro sin dalle prime battute, tende a subire tutti i danni necessari per rivalersi sull’assicurazione senza doversi preoccupare troppo del CID. Una volta raggiunto il colpo di frusta definitivo (per cui realizza di aver portato la metaforica pagnotta a casa), chiude immediatamente la battaglia grazie all’utilizzo dei super raggi. Il nemico schiatta quindi con l’indelebile onta di chi ha avvicinato il proprio avversario all’estinzione del mutuo. - Zion B Ver.a2 (Sniper)
Il pilota (che preferisce rimanere anonimo) è connesso all’impianto neurale mediante un plug anale e, dopo un lungo ed estenuante allenamento, riesce a far compiere alla macchina qualsiasi azione tramite impercettibili (ma controllatissime) contrazioni dello sfintere. Sarebbe in grado di operare un kaiju a cuore aperto mantenendo un tasso di successo elevatissimo pur utilizzando delle presine da forno. Invece l’opposto: li secca con assoluta precisione da distanze siderali usando un letale megafucile da cecchino.
Da tenere bene a mente: le mani del pilota sono sempre libere, un chiaro punto di forza di tale sistema di controllo. - CARABINIERI
Armato di solo taccuino per multe e pistola d’ordinanza, non bisogna affatto sottovalutare il mecha CARABINIERI che si rivela, qualche malpensante direbbe sorprendentemente, quello moralmente più integro nonché incline al dialogo.
Diversi sono i mostroni spaziali che, alla richiesta di patente e libretto, hanno dismesso la stereotipica parte dell’abominio che grugnisce per prodigarsi nei più sentiti “IAMME MARESCIA’ FACITAMILL STU FAVOR ME’ CA TENG I CRIATUR”.
I piloti sono tre e si alternano in base ai turni di lavoro. In ordine di anzianità:
Capitano Morisi, ignavo e prossimo alla pensione
Maresciallo Roccaforte, drogata di eccitanti e dal piglio tendenzialmente nazista. Ottima cuoca.
Allievo Brigadiere Morisi Roccaforte, figlio dei due sopra citati. Un bravo ragazzo, un po’ lento.
I tre robot e cinque piloti, pur nelle loro inconciliabili diversità, sono uniti da uno scopo comune: ammazzare nella più cruda e perversa fra le modalità possibili, la sorgente di tutto l’orrore che dilaga nel mondo: la regina Sonia, quella troia.
Il telefono squilla; dall’altro capo del ricevitore zio Matteo mi chiede di passargli mia madre che beatamente riposa davanti alla solita TV spazzatura. Io la sveglio provocandole il solito microtrauma che, affastellandosi su quelli precedenti, sarà concausa del mio prematuro stato di orfano e le dico di avvicinarsi alla cornetta.
Lei è sconvolta per tutta la durata della breve chiamata.
Appena finisce mi fa:
“Pietro, te la faccio breve perché sei un bambino grande e devo scappare per parlare con gli altri parenti… poi in fondo in fondo so che per te non sarà un grosso trauma: Sonia è morta.”Poi si incupisce: “Dove andremo a finire, Signore mio…”
Si acconcia in tempo record ed esce in fretta e furia. Le ultime parole prima di lasciare l’appartamento sono: ”Beh, io vado, non chiudo la porta a chiave, fai attenzione! Per favore registra il resto della puntata, non voglio perdermela.”.
L’istante immediatamente successivo ho le pupille fisse sul tavolo e squadro le mie creature. I muscoli del viso rigidi, parlo a fatica, sottovoce, tremando.
”Ragazzi… non pensavo facessimo così sul serio…” ma i tre robot continuano le loro attività mondane facendo orecchie da mercante.Asterius dialoga sapientemente con CARABINIERI allo scopo di trovare nuovi modi per eludere la legge.
Zion B Ver.a2 è preso dalla cucitura di un piccolo abito sartoriale.
(forse continua)
- Asterius
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Perfect Blue
Satoshi Kon – 1997
Fintanto che il piscio trasportato da questo catetere rimane color giallo paglierino, è bene fare dono del tempo concessomi considerando una netta sterzata in ambito lavorativo…
Avrebbe senso abbandonare il gruppo di idol giapponesi di cui sono leader per intraprendere la carriera di attrice.Sono combattuta.
Ma c’è del sangue nella sacca!
SALVA PER MIRACOLOL (🤣)(Capolavoro)
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1880
Ogni giorno, per almeno tredici minuti, è fondamentale per me interrompere qualsiasi attività e piombare in un (riportando la definizione di gente a me cara) preoccupante stato dissociativo.
In questo stato di nera alienazione, fortissimamente rifletto sui disgraziati ideali di bellezza di cui siamo schiavi per colpa di quella diabolica invenzione che è il telegrafo…
Sarebbe bello avere la mia libido davanti; farle una ramanzina che non ve la sto a dire e ridurla infine in lacrime con la coscienza sfregiata dal senso di colpa e la laringe livida dal singhiozzare.
Dopo, entrare nello splendido e ampio soggiorno dalle decorazioni vittoriane dove la mia compagna Szabina, Miss Impero austro-ungarico, esegue uno squat geometricamente perfetto, completamente nuda.
Il suo azzardo è che io stia per sceneggiare il solito, collaudato, siparietto: fingere di camminare “così per caso” e poi saltarle addosso al fine di aprirle le natiche.E invece no: siedo sul comodo divanetto vittoriano (tutto è vittoriano in questo sciagurato periodo storico!) e sfoglio con scarso interesse una raccolta di poesie sulla morte.
Di sera, a letto, tutto si risolve con un nulla di fatto:
“Finalmente, amore mio, sono guarito…
Fammi verificare solo una cosa…”Mi alzo in piedi facendo leva sulle braccia e accompagno delicatamente le ante del nostro prezioso armadio (vittoriano). Recupero uno splendido cuscino raffigurante l’abominevole Regina Vittoria e chiedo gentilmente a Szabina di poggiarselo sul viso.
“Riproviamo ora.”
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Missing kid at work
Se da piccolo
a rapirmi
fosse stata una diversa
famiglia di zingari
chissà la mia vita
che piega avrebbe preso
Forse
e dico forse
la mia attuale RAL
(Retribuzione Annua Lorda)
ne avrebbe risentito
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Cingolati
Due presuntuose Harley-Davidson convergono le attenzioni dei bagnanti di una scogliosa spiaggia pugliese.
Eccone i proprietari: due biondi, alti, obesi eppur muscolosissimi statunitensi dal passato genetico chiaramente nordeuropeo emergono dalle acque.
Per raggiungere gli ombrelloni evitano la comoda scaletta naturale preferendo arrampicarsi sulla ripida parete rocciosa del faraglione. Lo fanno adoperando una sola mano, l’altra regge una busta ricolma di ricci di mare, appena raschiati dagli abissi salentini.
Maverick e Fat Bob pesano 140 chili l’uno e i tendini che muovono i loro arti superiori sono costituiti da un’invincibile lega di pollo fritto e ignoranza. Un’immersione in apnea di due ore e mezza non è servita a lavare via il tanfo che li accompagna dall’assolata West Coast.
Eppure questo non basta a frenare la mia sensibilità verso una delle tematiche ecologiche a me più care.
Mi alzo di scatto per incamminarmi a passo svelto verso di loro con l’aria di chi non cerca altro che una scusa per arrivare alle mani, una giustificazione da utilizzare davanti al giudice.
Picchietto il mio indice destro sulla tetta sinistra di Fat Bob:
“EHI COGLIONE! Non lo sai che c’è il fermo biologico? I ricci si possono pescare solo nei mesi con la R! E sai che mese è questo, BRUTTA TESTA DI CAZZO? APR“
L’ultimo mio pensiero prima del coma irreversibile è rivolto a Tarkus.
Nel 1971 gli Emerson, Lake & Palmer pubblicano un album che ruota attorno alle vicende di un mostruoso, enorme, armadillo cingolato.Come avranno mai potuto pensare che fosse una buona idea?!
Poveri pazzi.
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Traguardi
Pothole è una parola dalla rotondità interessante. Nell’autobiografia che sto scrivendo verrà certamente utilizzata come titolo di un capitolo, in riferimento allo sterrato dissestato che è la mia vita: uno sterrato che percorro da quando ho realizzato di occupare un corpo che, se il buon dio non fosse stato un sadico bastardo, sarebbe appartenuto al più lercio dei camionisti anziché a me.
Il mio nome è Lorytrav e sono ad un punto di svolta.
Presto la mia mano si appesantirà su quella gelida maniglia e, facendolo, aprirà la porta che mi chiude in questa claustrofobica stanza. Attraverserò il percorso che mi separa dall’asta di un microfono e la folla si alzerà nell’attesa di un discorso che, pur essendo in preparazione da anni, richiede una certa dose di improvvisazione: le mie labbra si muoveranno ma non un filo di voce ne verrà fuori.
Questo il mio timore… L’ansia matta di vedere i miei sforzi annientati da una timidezza che non riuscirò a superare mai completamente e poi sprofondare sotto il peso della colpa, del sentirmi stupida, inadatta.
Ho speso un capitale nell’acquisto di libri di crescita personale e mindfulness. La mia libreria ne conta centotrenta eppure, in quest’occasione così dannatamente importante, fatico disperatamente per ricordare un solo, fottutissimo, titolo.
Mi guardo attorno alla ricerca di una distrazione, un pretesto per non pensare alle persone fuori che sento vociare. Non trovo nulla in questo posto asettico e allora mi aggrappo al cellulare. Apro Tinder, applicazione che ho installato per semplice curiosità (come scherzo) un anno fa, e do un’occhiata al mio profilo.
Mi rassereno dopo aver riletto la descrizione:
“Laureata con 100 e lode in casiumanologia. Se siete casi umani andate altrove, ne ho abbastanza!!!!! Non ho tempo da perdere. No uomini noiosi! Sono una trav se non l’avete capito.”
Bastano queste poche righe a darmi la carica:
Sono colta, schietta, impegnata e sicura di sé.
Sono dannatamente sexy nel non scendere a compromessi.
Sono quella che prende le decisioni per prima.O forse non sono nulla di tutto ciò. Forse sono una cacciatrice con il piede tranciato da una trappola per orsi che lei stessa ha posizionato.
NO. NO. NO.
Spengo il telefono e volgo lo sguardo verso la scrivania.
Su di essa è poggiato il copricapo portafortuna che da sempre mi accompagna e che indosserò per l’esibizione. Pur essendo costellato di brillanti da due soldi, ha un valore inestimabile per ciò che rappresenta.
Su di esso è montata un’impalcatura di fil di ferro che si sviluppa a raggiera dove ogni raggio è formato da due fili intrecciati. In ogni cruna ho incollato la radice di una piuma di pavone.Una piuma per ogni volta che ho pianto per amore: un ricordo a me stessa di come la bellezza vinca sempre, anche sulla sofferenza e la delusione… La bellezza salverà il mondo!
Ed eccomi: sono pronta! Mi carico!
Sono una stella!
La più lontana,
irraggiungibile,
che sia visibile
ad occhio umano!La crisalide esplode.
SONO UN ANGELO
CHE COMMETTE PECCATO,
E LO FA CON ARROGANZA.Abbasso la testa per poggiarvici il copricapo e mi alzo con fierezza.
SONO IL PIANETA GIOVE E
SONO L’INSCINDIBILE ATOMO.Apro la porta ed esco.
In questo mondo che
fortissimamente desidera
che io sia la merda…BENE! IO SONO LA MERDA
MA SONO ANCHE L’AMORE!
SONO L’AMORE INVINCIBILE.SONO
DI
VI
NAIl pubblico è in piedi, sbigottito, qualcuno penso sia addirittura oltraggiato dal mio aspetto così appariscente in un contesto così inutilmente formale.
Afferro il microfono e lo avvicino alla bocca:
“Nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. AMEN”
I parenti del defunto sembrano spaesati, sono forse le uniche persone mute in una chiesa brulicante di atei e credenti. Il brusio è assordante e mi impedisce di parlare, pur disponendo di una considerevole amplificazione.
“Siamo qui per commemorare la vita e la morte del caro FabEHI COSA STAI FACENDO“
Non riesco a terminare il nome: un uomo palestratissimo (probabilmente l’amante del morto) mi blocca con l’intenzione di trascinarmi lontano dall’altare e io mi dimeno con forza nella vana speranza di divincolarmi. Nel farlo il cappello casca sul pavimento danneggiandosi.
Allora io grido, grido a squarciagola, grido attraverso le crepe dei miei sogni infranti:
“BASTARDIIII! SIETE E RIMARRETE DEI TROGLODITI DI MERDAA! STATE ROVINANDO TUTTOOO! IL MIO FUNERALEEE!“
Ma il vocio copre le urla.
Quindi il padre novantenne del trapassato si alza, fa per avvicinarsi – gli occhi iniettati di sangue – ma i suoi intenti ostili vengono frenati dall’attrito di un arresto cardiaco.
Il cuore smette di battere ed è lì, nell’istante della sua morte, che la stessa libreria che eludeva la mia memoria si manifesta davanti agli occhi con nitidezza quasi fotografica.
…E finalmente scorgo a chiare lettere uno dei titoli che mi hanno reso la persona che sono.
Un libro a cui devo tutto.
Quel libro che, senza ombra di dubbio, mi ha salvato la vita.
La copertina si dissolve.
Cristo piange sulla croce.
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Goodbye, Dragon Inn
Tsai Ming-liang – 2003
Gli orientali hanno una concezione del tempo diversa dalla nostra.
Lo stesso dicasi, evidentemente, per la noia.
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Action Man
Gli spiegoni moralistici a fine episodio fanno sorridere il doppio se rapportati a ciò di cui sono venuto a conoscenza.
Pare che il soprannome appioppatogli ai tempi del carcere fosse Pasolini.Non di certo per le ferme posizioni antiabortiste.
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Scarface
Brian De Palma – 1983
Il bambino seduto dietro di me è finalmente trascinato con forza fuori dalla sala, legato e tenuto fermo da due cocainomani boliviani.
La madre, rasata a zero davanti ai suoi occhi, viene successivamente marchiata a fuoco: laddove spuntava una folta chioma bruna, un mosaico di pentagoni sanguinanti ora compone la trama di un pallone da calcio.
La sdraiano a terra, rossa in viso. Piange.“VI PREGO! HO UN FIGLIO!” Grida.
“Appunto” chiosa qualcuno.Uno sconosciuto arresta la propria corsa 3 metri dopo il corpo: le ha staccato la testa con un calcio.
Eppure il bambino continua a parlare di Scarface: neanche questo è bastato a farlo tacere.Lo sconosciuto si gira: è il padre.
Il bambino, imperterrito, continua a parlare di Scarface.
Tolto questo, un film molto bello.
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(Ho contratto debiti di droga con Ezio)
Pier scusami ma la gioia che ho provato alla notizia del tuo matrimonio ha messo in secondo piano la mia attenzione verso impegni già dati.
Purtroppo non potrò essere dei vostri in quello che sarà il giorno più bello della tua vita e me ne dispiaccio di cuore. Quel giorno, inutile girarci attorno, sarò al matrimonio di Ezio.
Ti suonerà strano ma ci siamo riavvicinati qualche mese fa in concomitanza della nascita dei suoi due gemelli.
Nell’ultima occasione in cui ci siamo visti eravamo entrambi con le nostre più recenti frequentazioni e ho anche avuto modo di conoscere i piccoli: sono splendidi.
Abbiamo parlato dei vecchi tempi e anche di come sono andate le cose fra noi tutti: gli ho raccontato che da un po’ mi risulta difficile vederti, Pier. Lui si è dimostrato enormemente comprensivo: “Fabio” mi ha detto “la vita di noi padri è colma di gioie ma anche di doveri. Se Pier non ha trovato 5 secondi negli ultimi 6 mesi per scrivere un messaggio su Soviet neanche mentre cagava – peraltro mi dispiace non far parte di quel gruppo – è perché, per quanto tenga a voi, anche solo pensare alla bambina gli comporta un impegno non da poco.”
Abbiamo quindi voltato pagina su altri argomenti e ci siamo congedati con un abbraccio. Mentre eravamo vicini mi ha sussurrato “Ora devo andare, devo mettere Pier a nanna”.
Ti rendi conto? Ha chiamato uno dei suoi gemelli come te! 🙂
Poi ha osservato la mia compagna e ha continuato “A proposito, quanto si prende lei?” – “AHAHAH Ezio, sei sempre il solito!”
È salito in macchina con la futura sposa e i bambini ed è partito sgommando.Forse aspettavi un messaggio passivo-aggressivo, caustico. Mi spiace averti deluso: nella vita si cambia.
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Passatelli in brodo. Ore 02.00.
C’e’ questo sogno che ho fatto dopo.
Scorro la chat del gruppo telegram di Ringcast e ci trovo Leone di Lernia. Si spertica in elogi su 13 Sentinels dei Vanillaware che ho nel carrello Nintendo da mesi e che ora è in saldo.
“LEONE, sei davvero tu?” Dopo un veloce scambio di messaggi mi assento per qualche minuto e poi decido di andarlo a trovare. Chiedo informazioni su come raggiungerlo ma è sparito divenendo irrintracciabile. Ecco però qualcuno a farne veci: “Leone” scrive “fa parte di un gruppo di colti monaci tibetani”, la sede del culto è dalle parti di Bergamo.
Mi metto in macchina e arrivo a Bergamo: il cellulare è prossimo allo spegnimento, non ho via e numero civico ma solo coordinate latitudinali e longitudinali: sale un po’ d’ansia.L’architettura del posto è un incrocio sbagliatissimo fra quella di Assisi e il parcheggio interrato di un grosso centro commerciale.
Mi perdo fra le rampe e l’irrequietezza monta ancor di più data l’assenza di connessione.
Siedo al tavolo di uno dei tanti bar. Ci trovo dei miei lontani familiari che si stupiscono quando realizzano che la mia attenzione è rivolta al cellulare scarico piuttosto che a loro, che non vedo da una vita.
Chiedo al ragazzo che ci serve se è possibile fare uso di una presa di corrente e attacco il caricabatterie.
Scambio distrattamente due chiacchiere nell’attesa che il telefono si accenda. Il bar corrisponde accidentalmente alle coordinate sul GPS e sullo schermo compare una scritta rossa in caratteri maiuscoli su sfondo bianco:
COMPLIMENTI CI SEI QUASI – RISOLVI ORA QUESTO QUESITO A SCELTA MULTIPLA.
“Scegli il pane sacro fra le opzioni seguenti”.
Gli occhi scorrono fra le scelte disponibili, disposte in una tabella con un numero indefinito di colonne per due righe: sono immagini di monaci in pose neutre. Clicco istintivamente su uno di loro e la foto si ingrandisce sul viso; l’asceta bianco, durante la transizione, si trasforma in un nero sorridente dai denti bianchissimi. Clicco allora su tutti i monaci manifestando una certa forma di autismo. I parenti intanto chiedono informazioni e gli mostro il telefono: non capiscono e sorridono con imbarazzo alla vista di una tabella con dei faccioni neri sorridenti in ogni casella.
Torno a scorrere le scelte finché trovo del pane fritto nel burro. Lo seleziono e appare la scritta “COMPLIMENTI” seguita da un indirizzo.
Stacco il cellulare dal caricabatterie lasciando il caricatore attaccato alla presa e saluto sbadatamente i presenti.
La fretta è tangibile.
Mentre imposto il navigatore ricevo un messaggio privato da un utente del gruppo telegram, Musi, che si firma con le mie iniziali: F.M.Il messaggio recita:
TEMI LEONE. NON ANDARE. NON FARLO.Ed io ci vado ugualmente.
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Padri e pacchi
L’unico pacco da giù che abbia mai ricevuto è arrivato a Praga nel febbraio 2021. Il contenuto, a posteriori, non è importante.
Appena lo ricevetti, chiamai mio padre canzonandolo per come aveva stampato l’etichetta: “Ooh e che non la sapevi stampare più grande”?
Il codice della spedizione copriva infatti l’intera lunghezza di un foglio A4: il corriere poteva scansionarlo da un metro.Un mese dopo, preparandomi per l’ennesimo trasloco, quell’etichetta mi è ritornata fra le mani e mio padre, nel frattempo, era morto.
La rabbia, la frustrazione e la tristezza accumulatesi sono finalmente esplose in un pianto di 5 minuti.Il particolare periodo storico mi ha impedito di accomiatarmi dal corpo e il funerale mi è stato raccontato sommariamente da mia madre. L’importanza della cerimonia è probabilmente stata esasperata dal mio capriccio di volerci essere. Esserci per fare cosa, poi?
Quell’etichetta mi torna spesso in mente e non riesco a capacitarmi di come possa aver guadagnato posizioni rispetto a ricordi indubitabilmente più importanti.
Vince sull’immagine di me traballante su una bici senza rotelle o mentre rido pateticamente in segno di sfida dopo aver preso schiaffi.
Vince su agognate scuse da entrambe le parti.Bastava togliere la spunta da “adatta alla pagina”. Non l’ha fatto. Ha visto il foglio e se n’è letteralmente sbattuto le palle eppure era un perfettino la cui pedanteria ha nutrito e formato per anni il mio indecente pressappochismo.
L’attaccamento verso quell’inutile etichetta è il puro e stupido tentativo di romanticizzare la conoscenza parziale di una persona che, arrogantemente, avrei dovuto conoscere molto meglio.
Mi è stato possibile, non lo sarà più.
Comunque l’ho pure persa.